A Pietrapaola la caccia al cinghiale è tra le attività più sentite dagli uomini, che ne curano l’organizzazione nei minimi dettagli. È gia dal dicembre 2006, cioè dalla chiusura della precedente annata venatoria, che sono partiti i preparativi per quella attuale.
In paese quest’anno si sono costituite due squadre: una è stata chiamata “La Rupe” e prende il nome proprio dalla roccia che sovrasta il paese; l’altra ha scelto la denominazione “Natura 2000“. Quindi, in alcune riunioni preliminari, i cacciatori hanno stabilito le regole essenziali per uno svolgimento tranquillo dell’annata venatoria. In questi incontri non sono mancati commenti ironici o scherzosi, segno di collegialità e allo stesso rivalità tra i partecipanti. Si è deciso tra l’altro di suddividere il territorio in zone omogenee con delimitazioni naturali come strade e fossi, e di determinare i luoghi ove fermarsi per occupare il territorio scelto per la battuta.
Domenica 30 settembre è stato dato il via alla caccia.
È stato necessario scegliere sin da subito le zone giuste e per questo si sono costituite diverse squadre. Gruppi di cacciatori hanno setacciato per giorni le alture alla ricerca di qualche traccia fresca di cinghiale. Questo lavoro preliminare non è affatto da sottovalutare ed è risultato, anzi, assai difficile considerato il lungo periodo di siccità dell’anno scorso.I cacciatori più esperti in genere sanno già come muoversi, e perciò sono loro che indicano ai compagni i posti più adatti alla caccia, come per esempio i luoghi in cui si trovano delle sorgenti d’acqua.
Individuata la zona, le squadre hanno deciso di creare una postazione permanente sin da sabato, per paura che questa venisse occupata dalla controparte. Ognuno ha cercato di rendere l’attesa quanto più piacevole possibile, perciò, dopo aver acceso un fuoco nel luogo stabilito, è stato allestito un banchetto. Non poteva mancare, naturalmente, la tipica salsiccia piccante arrostita e la pancetta di maiale nero calabrese, accompagnate da un buon bicchiere di vino rosso di Monte Cucco.
Verso sera, nella zona scelta dalla squadra “La Rupe”, è arrivato uno dei gruppi di Caloveto, paesino che si trova vicino a Pietrapaola. La discussione che ne è seguita, dovuta al fatto che i nuovi venuti non conoscevano la divisione delle zone e le regole “interne” dei pietropalesi, è stata ben presto risolta amichevolmente.
Prima dell’alba, tutti i partecipanti sono giunti sul posto prestabilito mentre i cani, chiusi in apposite gabbie sulle jeep, abbaiavano impazienti. Ogni squadra è composta da cani di razze diverse, “canetteri” (canai) ovvero persone molto esperte della macchia e grandi appassionati di caccia, postaioli, il capocaccia e due vice. In questi momenti i cacciatori sono soliti raccontarsi le esperienze dell’anno precedente e soprattutto, quasi a volersi raccomandare di fare attenzione, elencano le varie “polizze” (errori dovuti alla mira sbagliata) e organizzano il lavoro di tracciatura per individuare la rimessa degli animali da cacciare.
I capocaccia, Albidone e Parrotta, hanno invitato il gruppo a tenere alta l’attenzione durante la battuta, verificare la posizione della posta vicina e ricordare l’angolo di tiro indicato ai postaioli. La cosa più importante è, naturalmente, tornare a casa tutti insieme e soprattutto illesi. Poi hanno continuato ad organizzare il lavoro di tracciatura per individuare “a misa” (la rimessa) degli animali, chiedendo di chiudere il cerchio della zona, individuando le entrate degli animali nella “misa”, e lasciando dei segni ben visibili per i “canetteri” che di solito sono anche i proprietari dei cani.
Si deve fare presto perché in questo periodo qui da noi fa ancora molto caldo.
I cacciatori della squadra “La Rupe” dopo circa due ore sono stati di ritorno. Hanno trovato delle tacce fresche, insieme ad alcune più vecchie, nella zona compresa tra Rizzo, Mulinello e Ardito. L’esperienza di Giuliano, Mimmo e Fino parla di “nu verru ccu dui porcastri e nna scrufa”, ma questo si saprà solo più tardi. Il capocaccia con la collaborazione di alcuni cacciatori più esperti ha continuato ad organizzare le poste indicando ai “canetteri” il luogo dove occorreva lasciare liberi i cani, raccomandando anche la direzione verso la quale bisognava spingere le prede.
Il via è stato annunciato per radio, subito dopo i cani sono stati liberati e nell’aria si udiva solo il loro abbaiare concitato, poi una voce: “accortu è partutu, va versi e ficu palette” (attenzione i cinghiali sono usciti dalla rimessa e vanno verso i fichi d’india). I cani hanno cominciato ad abbaiare con insistenza, segno che l’animale si trovava molto vicino, e poi di nuovo la voce del “canetteru”: “se votatu, va versu u portiu e rizzu “ (si è girato e va in zona rizzo).
Poco più tardi si sono uditi due colpi di fucile, una voce ha annunciato che “a affacciatu a capu fore e troppe, c’è sparatu ere l’untanellu e si nne jutu e nniviru cobu e rannu” (appena ha messo la testa fuori dai cespugli gli ho sparato, ma era un po’ lontano quindi non sono riuscito ad ucciderlo, è un animale nero molto grande) “va versu u spundunu e mijjianò subba u mulinellu appressi c’è lu seguggiu cu segue ” (indica la zona verso la quale si dirige l’animale inseguito dal cane di Mimmo, in questa circostanza il più veloce).
Erano ormai le dieci passate e faceva molto caldo, quando nell’aria si sono stagliate altre due fucilate seguite dal grido del capocaccia: “veninu e chilla bbanna….cca fattu?” (vengono da quella parte, com’è andata?); a rispondere è stato Miccuzzu, con la voce contenta e affaticata, ” è mortu, è nu quindalotto” (il cinghiale è morto, pesa circa un quintale). Intanto qualche montagna più in là, nella zona Destre della Madonna e zona Comunelli, anche l’altra squadra era alle prese con la sua battuta. I cani abbaiavano non trovando nulla, forse a causa del caldo che aveva compromesso le tracce o forse perché i cacciatori non erano stati fortunati come gli altri. Il capocaccia cercava di indicare ai suoi la direzione giusta, ma il tentativo era inutile, ormai era troppo tardi per continuare le ricerche.
Nel frattempo la squadra “La Rupe” aveva fatto ritorno alle macchine trasportando a spalla (appeso ad un legno rimediato nel bosco) il cinghiale abbattuto. Tra commenti e descrizioni sulla scena dell’abbattimento è stato caricano sulla jeep diretta, come al solito, dall’amico Fino.
La giornata non poteva non finire con un lungo pranzo, mentre i volenterosi hanno provveduto alla pulizia e alla divisione della carcassa.
È evidente che l’azione di una squadra non si esaurisce a fine giornata con l’uccisione della preda, ma la partecipazione di tutti, anziani e giovani, consente momenti di collaborazione e di aggregazione necessari per la tutela dell’ambiente e la buona riuscita della battuta di caccia.
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