Il momento è giunto, il 1° di ottobre come ogni anno si apre la caccia al cinghiale. E’ difficile riuscire a trasmettere tutto l’entusiasmo che si prova sulle colline di Pietrapaola, piccolo comune della costa jonica calabrese, contornato da paesaggi mozzafiato e accompagnato da una cucina tradizionale che prevede per l’occasione “scaffettuni cu carna e porcu, na rattata e ricotta salata ccu pipubbonu” (paccheri con carne di porco, ricotta salata grattugiata e pepe nero) che vale la pena degustare accompagnato da un buon bicchiere di vino locale.
A Pietrapaola le squadre sono due e noi siamo iscritti in quella detta “e ru varberu” (del barbiere). Nei giorni che precedono l’evento usciamo la sera al fresco per fare dei sopralluoghi nelle campagne alla ricerca dei posti dove il cinghiale potrebbe essere più presente. Al momento il luogo più idoneo, dato il periodo ancora caldo, ci sembra la “jermanata”, una zona collinare a valle tra le più rinomate nell’area delle muraglie di Annibale (zona archeologica), nel luogo è presente una boscaglia molto fitta, varie essenze e molta acqua, di certo tutti elementi che lo rendono l’habitat ideale per il cinghiale.
La domenica precedente all’apertura della caccia, quando è possibile allenare i cani come prevede il regolamento regionale, decidiamo di andare sul posto a dare un’occhiata. Così facciamo anche quest’anno. Al mattino passiamo a prendere la muta e ci mettiamo in viaggio, raggiunto il luogo prestabilito ci incamminiamo lungo uno dei fossati dove c’è dell’acqua e troviamo alcune tracce ancora fresche, per non perdere tempo sciogliamo i cani e lasciamo che facciano il loro mestiere. Un po’ più tardi i cani cominciano di tanto in tanto a farsi sentire fino a quando superata la collinetta sotto le baracche un gran rumore e un abbaiare insistente fa capire che gli animali sono in fuga.
Corriamo, io e Roberto ci spostiamo sulla collina più avanti e scorgiamo tra gli alberi un evento non così frequente: sette grossi cinghiali sono in fuga dai cani che disposti a ventaglio non concedono tregua.
Immediatamente il nostro pensiero diventa quello di recuperare al più presto i nostri collaboratori a quattro zampe prima che si allontanino troppo. Poco più tardi però perdiamo ogni contatto. Sono circa le dieci quando Ciccio dice che bisogna fare presto, in questo periodo capita spesso che in giro ci siano persone alla ricerca di cani che una volta lontani dai padroni diventano una buona occasione di guadagno, considerato che un buon esemplare costa circa 5000 euro.
Alle dodici però decidiamo di tornare a casa, a quell’ora le temperature sono troppo alte ed è presumibile che anche i segugi abbiano deciso di fermarsi in un luogo fresco per rimettersi in cammino solo in serata.
Roberto ed Eugenio intanto, senza dirci nulla, decidono di continuare a cercare e solo più tardi, verso le tre del pomeriggio, ci dicono che i nostri cani sono stati avvistati nella vicina cittadina di Caloveto, dove ci diamo appuntamento poco più tardi. Io intanto faccio subito una serie di telefonate agli amici di Caloveto che si mettono subito a disposizione. Tonino ci dice di aver visto i due cani nei pressi delle “Liboia”, qualcun altro dice di averli visti in paese, allora decidiamo di intensificare le ricerche sul posto indicato. Roberto e Micuzzo, che nel frattempo si erano uniti al gruppo per le ricerche, si mettono in contatto via radio con noi e Roberto decide di chiamare i cani a gran voce. In quel preciso istante si sente l’abbaio provenire da una certa direzione, veniamo subito allertati e mi viene chiesto di spostarmi negli ulivi di fronte. Mi avvicino ad una casa e chiedo informazioni ad alcune persone, non rispondono, mi rendo conto che sono stranieri, rumeni, davanti all’uscio una giovane donna si tiene il grembo rotondo come se dovesse partorire da un momento all’altro.
Chiedo a Micuzzo di chiamare nuovamente, ma questa volta non udiamo nulla. Allora mi dicono di spostarmi più in alto, alle prime case del paese dove da una ringhiera è possibile vedere bene la vallata. Dopo aver ripreso il contatto radio chiedo agli amici di chiamare ancora una volta i dispersi. Micuzzo intanto mi indica un altro posto. Sul luogo incontro un conoscente, detto “Baffone”, il quale mi indica il recinto in cui una persona del posto accudisce i cani della propria squadra. Ormai è sceso il buio, negli ulivi sottostanti però udiamo chiaramente il richiamo dei nostri animali. Scopriamo che sono nel recinto insieme agli altri, chiariamo la faccenda e ci avviamo verso casa.
Le fatiche di una giornata di affanni sono ormai tutte scomparse e siamo pronti per ricominciare, forse la new-entry del gruppo, Eugenio, cambierà idea oppure come noi sarà pronto a iniziare questa nuova stagione di caccia.
La sera del 30 settembre, quindi, ci troviamo con la squadra per organizzare la giornata del 1° ottobre, siamo tutti intorno al tavolo imbandito di buoni prodotti tipici accompagnati da un bicchiere di vino “Rosso di Cucco” per decidere sulla zona da occupare il giorno dopo. La serata non si protrae a lungo, l’indomani dobbiamo essere lucidi e carichi di energie.
Il capo caccia (u varberu) comunica che l’appuntamento è alle 5,00 del mattino, mentre alcuni di noi non andranno a letto per recarsi nel punto stabilito e occupare il territorio di caccia prima degli altri. Di sicuro poi qualcun altro sarà sul posto prima dell’ora stabilita perché preso dall’euforia non riuscirà a chiudere occhio.
La mattina seguente, dopo una notte inquieta, la sveglia suona alle 4. Fuori è ancora notte, ma si intravedono le prime luci dell’alba. Preso il caffè si parte per raggiungere la zona di caccia. Io mi fermo solo un attimo sull’uscio di casa per riflettere sulle cose da portare: prima di tutto la carabina, le munizioni, i documenti, qualche capo di abbigliamento di riserva, lo zaino la roba da mangiare. Basta un tocco sulle tasche della giacca, come un rituale, per sapere che è tutto pronto. Si parte, ognuno di noi riflette su quello che potrà accadere durante la battuta ed è fiducioso di trovare il cinghiale. Quando si sale in macchina passano davanti agli occhi come in un film le battute di caccia dell’anno precedente.
Le temperature sono ancora alte, meglio avere un abbigliamento leggero. Sul posto Ciccio, il capocaccia, dedica cinque minuti di raccomandazioni sul comportamento da tenere durante l’intera giornata e in particolar modo durante la permanenza alla posta indicando l’angolo di tiro da tenere nel caso di approccio con il cinghiale.
I cacciatori, quelli più esperti, si incamminano per il bosco recandosi nei fossi più umidi alla ricerca delle tracce certi di aver fatto un buon lavoro nei giorni precedenti, consapevoli che il cinghiale è un animale che si nutre prevalentemente di ghiande e castagne presenti sul territorio in grande quantità, oltre che di erbe, tuberi e funghi. Per le caratteristiche del muso è un abile scavatore e spesso troviamo le sue tracce nei campi dove cercano le chiocciole. Il cinghiale è un animale prevalentemente notturno, trascorre le giornate riposando in zone boscose e in luoghi appartati, fedele al territorio ma non prettamente stanziale, camminatore eccezionale compie il suo tragitto notturno eleggendo la sua dimora nel luogo che abbiamo specificato e che incontra alla prime luci dell’alba.
Via radio qualcuno annuncia che sono state trovate le tracce fresche della notte nel fosso “pittirussa” nelle vicinanze “e ru vullu e Francullo”(si dice che il brigante francullo, diminutivo di franco, sia stato ucciso in quel posto), bisogna far presto e iniziare la battuta prima che faccia troppo caldo. Di nuovo il capocaccia comunica via radio che bisogna trovarsi “alle nuci” per organizzare le poste. I canai sono pronti, orgogliosi dei propri cani e non vedono l’ora di sciogliere la munta mentre questa nel carretto si allena facendo sentire l’abbaio cupo dell’airegeois e le melodie del bigol.
Raggiungere la posta solitamente non è difficile, i postaioli comunicano che tutto è organizzato e i cacciatori si incamminano nel luogo che sarà indicato loro e deciso dal capocaccia sulla base delle conoscenze personali e le attitudini dei cacciatori stessi. A me è capitata la posta “ e pittirussa”.
Si sentono via radio i postaioli dire che sono pronti, il capocaccia annuncia che si possono sciogliere i cani facendoli passare sul luogo dove sono state rinvenute le ultime tracce, prima del bosco. Alle poste i cacciatori caricano le proprie armi facendo attenzione che la canna sia libera da residui e scelgono le cartucce a palla unica, probabilmente le migliori.
Si ode un rumoreggiare di cani nel bosco, Roberto li incita mentre l’abbaio diventa sempre più forte e non lascia spazi a silenzi fino a quando il canettiere alla radio annuncia “su fujuti accortu alla posta”. Il segugio, i bigol da una parte e l’ariegeois e il vandeano dall’altra indicano la direzione presa dagli animali.
Alle poste il silenzio del cacciatore è disturbato dall’aumentare del battito cardiaco provocato dall’emozione quando il corpo dell’animale struscia sui cespugli e si fa sentire, il movimento indica la posizione del cinghiale e ci fa capire che è molto grosso. Quando si affaccia alla posta, dai cespugli, scorgiamo un animale con occhi piccoli, il capo di forma conica, a muso lungo con lunghe zanne, una grossa testa su forti spalle, furbo, affascinante, imponente, robusto, tozzo, di colore grigio scuro con setole lunghe sul collo. La carabina è imbracciata, ben salda alla spalla, lo sguardo corre lungo la tacca di mira, lungo il pendio e si interrompe sul corpo dell’animale. Ora è il momento: si aziona il grilletto e una carica esplosiva spinge il proiettile fino a colpire l’animale. Un momento di gioia indescrivibile, lo guardi, mette un po’ di paura, ma un attimo dopo vorresti che si rialzasse e si rimettesse a correre. I pensieri del cacciatore sono interrotti dalla radio, il capocaccia chiede notizie dell’accaduto e chiede di legare i cani.
La giornata prosegue come al solito davanti alla tavola imbandita di prodotti di ogni genere e questa volta senza limiti d’orario né di cibo. Tutti raccontano di cose accadute, oppure di cose soltanto immaginate.